Di struttura semplice, il mulino ad acqua era costituito da una struttura portante orizzontale su cui era adagiato il palmento fisso (la macina inferiore) che era attraversato al centro da una trave la quale nella parte inferiore, era costituita da un fuso ed in questo erano conficcate le palette, o semi cucchiai, contro i quali urtava l'acqua.
La parte superiore del fuso, in pratica dell’albero motore, era solidale con la macina superiore. Il funzionamento era quindi particolarmente semplice: ad ogni giro della ruota corrispondeva un giro della macina, la resa motore era quindi ancora limitata, ma il fatto che il fiume od il torrente non avessero bisogno di alcuna stalla e nessuna cura specifica, stimolò la ricerca di migliorie specifiche. Vitruvio, architetto e scrittore romano attivo nella seconda metà del I secolo a.C., sostituì al ''fuso" verticale due ingranaggi, posti ad angolo retto, i quali attraverso numerosi denti moltiplicavano i giri della mola. Questo fu l'inizio, i tecnici romani sperimentarono diversi artifici: ad esempio, variando i getti dell'acqua che colpivano la ruota verticale in basso, a metà o superiormente, essi scoprirono che erano capaci di aumentare l'energia della ruota; infatti quando questa portava 60 denti e la lanterna 12 elementi di fusello, la mola compiva cinque giri ad ogni giro della ruota (60 : 12 = 5). Le parti essenziali del mulino sono, oltre alle parti meccaniche che lo costituiscono, le "caratteristiche esterne" al mulino stesso. C'era un grande rispetto delle quote e del naturale ordine della natura, per cui la condotta che afferiva al mulino, era perlopiù costruita in legno, oppure, per rispettare le pendenze, essa veniva edificata in pietra, sacrificando lavoro pur di non sbancare il letto del torrente, nel rispetto del volere della natura che così l’aveva plasmato.
Supporto convogliatore della roggia
I mulini sorgevano fuori dall’abitato, ma non eccessivamente decentrati: via via che l’acqua si avvicina alla macchina vera e propria, essa viene canalizzata in canali rivestiti di pietra monolitica, fino a giungere alla bocca del fossato di raccolta, la "palata" o "pescara", generalmente di capienza tra i 500 ed i 1000 metri cubi. Il fossato, permetteva il flusso continuo considerato il pieno perenne. Dove l’orografia permetteva, il fossato, la "palata", veniva costruita al di sopra della struttura propria del mulino, con l’ovvio scopo di aumentare la velocità di caduta dell’acqua aumentando così la potenza specifica del sistema. Il pozzo di caduta variava dai 5 ad i 9 metri ed era rivestito di pietra calcarea, tagliata in lastre, come ogni pozzo. A questo punto del viaggio dell’acqua verso il mulino, le differenze tra un mulino a ruota verticale ed uno a ruota orizzontale si fanno più evidenti: la ruota orizzontale prevaleva, perché più semplice e perché meno rumorosa, benché meno potente: quando la molitura era inibita da editti e balzelli, il lavoro veniva eseguito di notte ed il fatto che fosse meno rumoroso, trovava ovviamente nella silenziosità il suo perché. Questa inibizione della molitura era regolata ed applicata in modo ferreo*. La farina dava sicurezza al contadino. I signori istituirono a proprio vantaggio i monopoli del forno, del frantoio, del porco, del toro, della vendita del vino ed ad tutto il secolo XVIII, il mulino idraulico restò un diritto regio o feudale.
* dal Libro MONTAGNA “Storia di una terra e della sua Gente” - Biblioteca Comunale di Montagna in Valtellina
- L’acqua del Fiume veniva utilizzata in modo tale che ad ogni giorno della settimana corrispondesse l’irrigazione di una certa zona; ma tutto questo dall’alba al tramonto, in quanto di notte l’acqua era riservata alle pale dei mulini. Sono ancora tra noi persone che raccontano di essere state, con la lanterna e una coperta, a “curare l’acqua”, affinchè qualche furbo non se ne appropriasse in tempo e modo indebito.
- Ogni gruppo di famiglie aveva il suo mulino, per la cui manutenzione si provvedeva in modo comunitario. Ad ogni famiglia era riservato un giorno fisso per il suo utilizzo, e la domenica veniva distribuita a turno. Scaduto il tempo fissato per la macinazione, se il grano non era del tutto caduto, veniva riportato via in modo da lasciare libero il posto.