In un viaggio affascinante tra gli antichi fienili e le soffitte polverose delle case di campagna, ci si imbatte in oggetti del passato, custoditi come segreti tra le travi di legno e le ombre del tempo. È lì che i grani antichi raccontano storie di raccolti dimenticati, e tra quelle mura si celano testimonianze di usi e costumi ormai lontani.
Durante le prime fasi di esplorazione e catalogazione al mulino ci siamo imbattuti in un vasetto. La sua presenza ci ha incuriosito e, dopo non semplici e immediate ricerche, abbiamo scoperto che dentro di esso erano stati riposti dei frammenti di cinabro. Un pigmento antico, ricco di storia, che ci ha regalato una finestra su epoche passate, rivelandoci un frammento del loro mondo colorato e vibrante.

Non di rado capita di visitare un luogo storico e imbattersi in disegni, schizzi o semplici scarabocchi su antiche mura. Imperturbati dal tempo, questi segni emergono in angoli strani e inaspettati, spiccando in piccoli anfratti o quasi esplicitamente su intonaci antichi con il loro vivace colore rosso.
Ciò che unisce la nostra curiosità è sicuramente la loro ricorrenza e la ricerca di interpretarne il significato, anche senza riuscirci completamente. Se si è fortunati, la data è ben impressa e non necessariamente fa riferimento a un evento specifico. Certamente, il luogo può rivelarci molto, ma ciò che sorprende è la ricorrenza legata a certi periodi storici, come il Medioevo e il Risorgimento, che la fanno da padroni. È necessario dunque unire i tasselli della storia e cercare, attraverso gli strumenti a disposizione, di trarne un filo logico apparentemente esaustivo.
Le forme, le linee, i volti di persone e animali, spesso fantastici o caricaturali, ci osservano in modo ermetico e severo, come se fossero infastiditi dalla nostra presenza. I più disparati fini hanno caratterizzato quello che, solo in un secondo tempo, è stato sostituito dal concorrente color vermiglio.
Un viaggio di oltre diecimila anni ha reso il rosso l’elemento più ambito e famoso, utilizzato in manufatti artistici, riti religiosi e nella fabbricazione di medicinali. Questo rosso vivo, profondissimo e quasi violaceo, che presenta affinità di tono con il rosso di cadmio porpora, derivava dall’alta concentrazione di solfuro di mercurio, caratteristica principale di questo pigmento, che è stato poi abbandonato a causa della nocività del mercurio contenuto.
Nell’imminente necessità di trovare un colore alternativo, a metà strada tra l’azzurro e il rosso porpora, si è optato per il vermiglio. È importante considerare che buona parte delle opere artistiche che ci sono pervenute devono la loro forza e durevolezza proprio a questo meraviglioso pigmento.
Paradossalmente, le prime tracce scritte risalgono al Medioevo, nonostante le origini neolitiche (in una città dell’Anatolia chiamata Çatalhöyük, abitata tra l’VIII e il VII millennio a.C.). La collocazione geografica non è casuale: i giacimenti di cinabro si formano grazie all’attività vulcanica, rendendoli rari e preziosi.
Con l’arrivo del commercio, il pigmento ha subito una maggiore diffusione e utilizzo. È stato trovato, ad esempio, nelle ceramiche rinvenute nel sito di Pločnik in Serbia e sui muri di un’abitazione cinese risalente al 4000 a.C. Nell’era del Bronzo, gli Antichi Egizi iniziarono a utilizzarlo nel Periodo Tardo, importandolo dalla Spagna e utilizzandolo come inchiostro sui papiri e nelle tombe delle necropoli attorno ad Alessandria, dove veniva impiegato per ricoprire i corpi dei defunti durante i riti funebri.
Anche in Cina, il pigmento veniva usato per i funerali delle famiglie più importanti, come la dinastia Qin, per proteggere il corpo nel viaggio verso l’aldilà. Una volta divenuto più largamente diffuso, cominciò ad essere considerato un colore propiziatorio dal popolo.
Con l’avvento della cultura greca e romana, il cinabro fu analizzato anche da un punto di vista scientifico. Inizialmente, veniva importato in polvere dalla Spagna, dalla Georgia e da Efeso. Era un colore estremamente costoso, utilizzato dalle botteghe solo per i personaggi più abbienti. Ne troviamo un uso significativo nelle ville romane, come la Casa di Augusto a Roma, la Villa di Boscoreale in Campania e la Villa dei Misteri a Pompei.
In epoche più recenti, il cinabro è stato utilizzato in Messico, nel Perù precolombiano, in India con la medicina ayurvedica e a Bisanzio, dove è rimasto una prerogativa imperiale ben oltre la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
Il cinabro è entrato nell’arte medievale in opere come la Leggenda Aurea di Jacques de Voragine e nel Libro dell’Arte di Cennino Cennini, prima di giungere a tutti i principali pittori dell’era moderna. L’unica accortezza richiesta era di non mescolarlo con le ocre, con il verde smeraldo genuino (a base di ossido di cromo idrato), col verde veronese, col blu di Prussia e con i gialli di zinco e di cromo. Non doveva inoltre essere mescolato con la biacca (a causa del contenuto di piombo), poiché unito a questi produce solfuro di piombo, sostanza che annerisce rapidamente.
Il pigmento, troppo costoso, iniziò a essere affiancato dal vermiglio: una trovata veneziana che si diffuse poi nei Paesi Bassi e in Germania. Grazie agli studi sulla tossicità del colore originale, il vermiglio soppiantò l’utilizzo del cinabro, imponendosi nel mondo dell’arte come rosso di riferimento. Rimasto relegato al solo uso medico, poiché si credeva potesse curare la sifilide e alcuni problemi cutanei, è stato infine vietato nel XIX secolo, periodo dal quale non possiamo più trovare tracce nei dipinti.
È dunque il vermiglio (vermilione e/o Sangue di Drago) a sostituire il cinabro, con una differenza sostanziale: la sua natura di resina anziché di minerale. Questa resina di colore rosso (sotto forma di masse rosso-brune a frattura vetrosa lucente) si ottiene da diverse piante, come Croton, Dracaena, Calamus (Rattan) e Pterocarpus. Grazie alla sua caratteristica di resina naturale, inodore o con un aroma leggermente balsamico, di sapore dolciastro (insolubile in acqua ma solubile in etanolo), veniva particolarmente utilizzata come incenso durante le celebrazioni.
Nella medicina popolare, il Sangue di Drago veniva usato esternamente come soluzione per favorire la guarigione delle ferite e fermare il sanguinamento, mentre internamente era indicato per dolori toracici, traumi interni e irregolarità mestruali. Nella magia medievale e moderna, e nell’alchimia, era associato alla sfera planetaria di Marte. Nella stregoneria neopagana viene utilizzato per potenziare incantesimi di protezione, d’amore e sessualità, di allontanamento e di attacco. Anche nello sciamanesimo New Age ha usi simili.
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